La Repubblica democratica del Congo è luogo da 30 anni di violenti conflitti armati interni al Paese, che hanno minato la sua stabilità e caratterizzato il territorio come sede di una delle più grandi emergenze umanitarie a livello mondiale. Crimini di guerra e crimini contro l’umanità, perpetuati da ormai quasi un quarto di secolo, hanno danneggiato e ridotto a una condizione di insicurezza alimentare e sociale un’intera popolazione. Di questa condizione, protagoniste delle più cruente violenze, sono le donne congolesi.
Gli abusi sessuali continuano a essere, in modo inequivocabile, la principale forma di violenza sulle donne nei conflitti armati globali. Secondo una recente indagine condotta da Epicentre, il braccio di ricerca epidemiologica e medica di Medici Senza Frontiere (MSF), più di una giovane donna su 10 riferisce di essere stata violentata nel periodo coperto dall’indagine – tra il novembre 2023 e l’aprile 2024. La ricerca è stata condotta tra gli sfollati di quattro campi intorno a Goma, nella provincia del Nord Kivu della Repubblica Democratica del Congo (RDC), e mostra tassi allarmanti di violenza, in particolare sessuale, che continuano a verificarsi quotidianamente nei campi e nelle loro vicinanze[1]. Anche l’UNCHR ha condiviso dei dati allarmanti: delle oltre 10 mila persone che hanno aderito ai servizi di assistenza per la violenza di genere nel Nord Kivu nel primo trimestre del 2023, il 66% è stata vittima di stupro – principalmente, per mano di uomini armati[2].
1. Lo stupro come arma di guerra
La Repubblica Democratica del Congo è stata appropriatamente riconosciuta come “la capitale mondiale dello stupro”[3]. Mentre il Paese è intrappolato nel conflitto, l’uso della violenza carnale come arma di guerra è stato dilagante e incessante. La violenza sessuale inflitta alle donne è stata a dir poco brutale e distruttiva, dal punto di vista fisico, sociale e psicologico[4]. Storicamente, lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono state rilevate per la prima volta nelle ostilità di confine nel 1991, ma sono diventate più frequenti dal 1994, nel contesto dei conflitti regionali derivanti dal genocidio del Ruanda[5]. In seguito al genocidio ruandese, la comunità internazionale rimase profondamente scioccata e, in risposta a queste atrocità, le Nazioni Unite decisero di istituire un Tribunale ad hoc per ritenere gli autori responsabili dei loro atti, tra i quali enumerarono lo stupro come crimine contro l’umanità.
Le ragioni che stanno alla base dell’uso di questa terribile arma sono molteplici e complesse. Tuttavia, un aspetto ricorrente è che gli stupri avvengono perché gli individui responsabili agiscono con un’impunità pressoché totale. In effetti, è raro che gli autori di queste violenze subiscano conseguenze legali o disciplinari. In molti casi, i combattenti sembrano considerare lo stupro come una sorta di “bottino di guerra”, una ricompensa brutale e inaccettabile per la loro partecipazione ai conflitti. La violenza sessuale è anche comunemente accompagnata dalla distruzione sistematica dei mezzi di sostentamento economico delle vittime, attraverso il saccheggio delle proprietà e l’incendio delle case. I gruppi armati, attraverso l’uso della violenza sessuale, perseguono l’obiettivo di destabilizzare le forze avversarie, seminando terrore e umiliazione tra gli uomini, le donne e i bambini delle comunità che ritengono essere legate ai loro oppositori. In questo contesto, lo stupro viene impiegato anche come forma di rappresaglia contro specifici individui, famiglie o intere comunità, amplificando così l’impatto devastante delle azioni di questi gruppi.[6]
Figure 2 – VOA
La violenza di genere in particolare resta un fenomeno critico nell’est del Paese, con oltre 4.600 casi registrati nel solo 2021 dalle Nazioni Unite[7]. Recentemente, l’agenzia Save the Children ha lanciato un allarme, condannando le violenze mortali subite da donne e bambine in fuga dall’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), che hanno raccontato di essere sopravvissute a violenze sessuali terribili e mutilazioni genitali. La maggior parte di questi casi si verificano durante la fuga dai combattimenti tra l’esercito della RDC, l’M23 e altri gruppi armati, che ha comportato lo sfollamento di più di 250.000 persone, tra cui circa 130.000 bambini[8].
Infatti, è stato segnalato un aumento degli stupri e aggressioni all’interno dei siti di sfollamento, ma anche da parte di uomini armati sconosciuti nelle aree esterne ai campi. Nonostante questo incremento, i programmi internazionali di protezione, che includono la consulenza sui traumi e altri servizi per le sopravvissute agli stupri, devono far fronte a un deficit di finanziamenti in tutto il Paese pari a circa il 70% per il 2023, secondo l’OCHA, l’organismo di coordinamento degli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite[9]. La mancanza di sostegno ha imposto un pesante onere ai volontari locali, noti come agenti di protezione, che si occupano delle sopravvissute alla violenza sessuale[10].
2. Le vedove congolesi
Tra i gruppi vulnerabili che soffrono in modo sproporzionato le conseguenze delle persistenti disuguaglianze, le vedove destano particolare preoccupazione. L’esclusione sociale ed economica delle vedove è un problema complesso e disomogeneo che si manifesta in diverse regioni del continente. La condizione delle vedove in Africa è spesso segnata da una serie di pregiudizi profondamente radicati nella tradizione, nelle norme sociali e nei sistemi legali. Di fronte alla perdita del marito, queste donne si trovano spesso private di diritti, accesso alle risorse e opportunità, esponendosi a una maggiore vulnerabilità e a notevoli difficoltà nel sostenere sé stesse e le loro famiglie[11]. In alcune parti della Repubblica Democratica del Congo orientale, ad esempio, si ritiene che circa il 50% delle donne siano vedove[12].
Nel 2010, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 23 giugno “Giornata internazionale delle vedove”. I loro diritti sono garantiti dalla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e dalla Convenzione sui diritti dei bambini, adottata nel 1979. In particolare, nella RDC, la Chiesa offre gruppi di sostegno, rivolgendosi in particolare alle vedove, agli orfani e agli sfollati a causa della guerra[13]. La realtà è che dietro la condizione delle vedove africane si cela l’ombra del patriarcato, poiché la dinamica sociale e culturale assegna tradizionalmente alle donne un ruolo subordinato, limitando la loro autonomia e potere decisionale. Le vedove, in particolare, affrontano un sistema che non riconosce pienamente la loro indipendenza. Il loro status cambia rapidamente, da moglie a semplice donna, rendendole invisibili.
Figure 3 – Samaritan’s Purse
Inoltre, la legislazione della RDC riconosce alle donne il diritto di ereditare i beni del matrimonio, ma nella pratica prevale l’idea che i beni familiari debbano essere trasmessi lungo la discendenza maschile, mentre la sposa viene spesso considerata come una proprietà del marito, con diritti limitati, in particolare sulla terra. Diverse testimonianze riportano le storie di donne che, alla morte dello sposo, si sono trovate private dei propri beni per mano dei suoceri e parenti del marito. Spesso si giustifica l’esclusione della vedova dall’eredità incolpandola di essere responsabile della morte del compagno, o addirittura accusata di stregoneria[14]. In linea di principio, le vedove dei soldati congolesi hanno diritto anche a ricevere pagamenti governativi basati sui guadagni dei loro defunti mariti, un processo per il quale la missione delle Nazioni Unite in Congo (MONUSCO), che ha iniziato a ritirarsi gradualmente dall’est del Paese nell’aprile di quest’anno, forniva assistenza[15].
3. La testimonianza di Monique
Monique Matshingi Ndjoko, 41 anni, porta sulle sue spalle il peso di una vita segnata da difficoltà e profondi dolori. La sua storia, che ha scelto di condividere, inizia con un lutto devastante: nel 2019 ha perso il marito, un militare impegnato nei conflitti a est della Repubblica Democratica del Congo. Quest’ultimo era un soldato dell’esercito regolare. Da quel momento, Monique si è trovata ad affrontare da sola le sfide della vita, diventando l’unico sostegno per i suoi cinque figli, nel difficile tentativo di ritrovare una stabilità economica e una sicurezza sociale ormai smarrite.
Figure 4 – La famiglia di Monique, fotografata da Grace Mansita
Dopo la perdita del marito, Monique si è rifugiata in un campo militare, sostenuta dai colleghi del consorte. Tuttavia, le condizioni di vita all’interno del campo si sono rivelate insostenibili: mancanza di igiene, assenza di sicurezza e notti passate all’aperto sotto il sole cocente. La preoccupazione per i suoi cinque figli, tra cui il piccolo Jonas Mutijima Mutanyangai, di appena cinque anni, era costante. A complicare la situazione, l’assegno statale che le permetteva di prendersi cura dei bambini venne improvvisamente sospeso, senza alcuna spiegazione. Spinta dalla necessità di trovare una soluzione, Monique ha deciso di trasferirsi con la sua famiglia a Kinshasa, la capitale, nella speranza di ottenere risposte dalle autorità.
Monique si trova a fronteggiare un’ulteriore sfida: l’educazione dei suoi figli, divenuta un obiettivo quasi irraggiungibile a causa delle difficoltà economiche. Dei cinque bambini, solo uno riesce a frequentare la scuola. Grâce Balekela Mutijima, la maggiore, ha 18 anni e non può proseguire gli studi universitari perché la famiglia non ha i mezzi per sostenerla. Il suo unico obiettivo ora è trovare un lavoro per aiutare la madre e i suoi fratelli, mentre sognava di fare la pediatra. La seconda figlia, La Joie Bulenga, è stata costretta a lasciare la scuola per mancanza di risorse, e lo stesso destino è toccato alla terza, Jemimah Yodaziza, di 9 anni, e a Willy Yamba, di 7. Il più giovane non ha mai avuto la possibilità di conoscere suo padre, né di sperare in un futuro scolastico.
Attualmente, per guadagnare quanto necessario a sostentare la propria famiglia e pagare le spese di affitto dell’appartamento, Monique si sveglia quotidianamente alle quattro del mattino con le sue figlie per andare a cercare l’acqua, offrendo questo servizio a pagamento da richiedenti che vivono in zone rurali isolate, dove non c’è accesso all’acqua potabile.
Questa è la vita di una donna che aveva dei sogni, ed aveva sostenuto degli studi da infermiera. Tuttavia, non ha potuto perseguire questa strada. Ha lavorato presso un hospice (centro ospitaliero), ma era sottopagata, tanto che tale mansione le consentiva di vivere per dieci giorni al mese. Ha quindi dovuto lasciare il lavoro. Secondo la sua testimonianza, è difficile per una donna trovare lavoro se non ha le adeguate conoscenze per aiutarla, e lei a Kinshasa non conosce nessuno.
Infine, quando le si chiede se è in contatto con persone che hanno vissuto un’esperienza simile, non esita a confermare una tragica realtà. Monique riflette con amarezza e riconosce una condizione condivisa con molte altre donne nella stessa situazione, che rimangono intrappolate nella miseria, specialmente nell’est della Repubblica Democratica del Congo, senza una reale prospettiva di miglioramento.
4. L’impegno di Magic Amor
Nel contesto drammatico della Repubblica Democratica del Congo, le donne si trovano ad affrontare violenze inimmaginabili, psicologiche e carnali, un fenomeno inaccettabile che necessita giustizia e un riconoscimento maggiore a livello internazionale. È cruciale non solo condannare queste atrocità, ma anche condividere e ascoltare le voci di chi soffre, facendo conoscere le loro storie e impegnandosi per promuovere una società più equa e rispettosa dei diritti umani.
A tal proposito, Magic Amor si impegna attivamente a sostenere i giovani in difficoltà, offrendo loro l’opportunità di proseguire gli studi universitari. Grazie alla collaborazione con i suoi partner, Magic Amor copre fino al 90% delle spese universitarie, garantendo così un futuro migliore a chi, come Grâce Balekela, ha il diritto di inseguire i propri sogni. Questo impegno concreto rappresenta un passo importante per aiutare famiglie in difficoltà come quella di Monique, e quella di molte donne e famiglie vulnerabili in RDC.
[1] Medicins Sans Frontieres (2024). MSF survey shows scale of violence against displaced women in eastern DRC | MSF. [online] Médecins Sans Frontières (MSF) International. Available at: https://www.msf.org/msf-survey-shows-scale-violence-against-displaced-women-eastern-drc.
[2] Triggs, G. (2023). UNHCR warns of mounting violence against women and girls in eastern DRC. [UNHCR Assistant High Commissioner for Protection] Available at: https://www.unhcr.org/news/briefing-notes/unhcr-warns-mounting-violence-against-women-and-girls-eastern-drc#:~:text=Shockingly%2C%20the%20latest%20data%20reveals,reportedly%20perpetrated%20by%20armed%20men.
[3] Grasso, C., Zanasi, L. and Zanoli, R. (2019). Essere donna in Africa, stupri e violenze sessuali . [online] Medicins Sans Frontières. Available at: https://scuole.medicisenzafrontiere.it/2019/03/24/essere-donna-in-africa-stupri-e-violenze-sessuali-di-c-grasso-l-zanasi-r-zanoli/.
[4] Brown, C. (2012). Rape as a weapon of war in the Democratic Republic of the Congo. Torture, Available at: https://www.corteidh.or.cr/tablas/r29631.pdf.
[5] Pratt , M. and Werchick , L. (2004). Sexual terrorism: rape as a weapon of war in eastern Democratic Republic of Congo. [online] USAID/DCHA Assessment Report, pp.6–7. Available at: https://pdf.usaid.gov/pdf_docs/pnadk346.pdf.
[6] Amnesty International (2004). Democratic Republic of Congo: Mass rape – time for remedies. [online] Available at: https://www.amnesty.org/en/wp-content/uploads/2021/09/afr620182004en.pdf.
[7] Ciavoni, C. (2022). Congo, il terrore dei gruppi armati tra stupri, scuole distrutte, donne e bambini come bersagio di un conflitto dimenticato. [online] la Repubblica. Available at: https://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2022/04/20/news/congo_il_terrore_dei_gruppi_armati_tra_stupri_scuole_distrutte_donne_e_bambini_come_bersagio_di_un_conflitto_dimenticato-346149541/.
[8] Save the Children (2024). Repubblica Democratica del Congo: bambine di appena 9 anni vittime di brutali violenze e mutilazioni sessuali. [online] Save the Children Italia. Available at: https://www.savethechildren.it/press/repubblica-democratica-del-congo-bambine-di-appena-9-anni-vittime-di-brutali-violenze-e.
[9] OCHA (2023). République Démocratique du Congo Plan de Réponse Humanitaire 2023 | Financial Tracking Service. [online] Unocha.org. Available at: https://fts.unocha.org/plans/1113/summary.
[10] Neiman, S. (2023). The New Humanitarian | Sexual violence plagues women displaced by DR Congo’s M23 conflict. [online] The New Humanitarian. Available at: https://www.thenewhumanitarian.org/news-feature/2023/07/12/sexual-violence-plagues-women-displaced-dr-congo-m23-conflict.
[11] Basthard Bogain, D. (2024). Widows’ social and economic exclusion in Africa. [online] Gender in Geopolitics Institute. Available at: https://igg-geo.org/en/?p=18932&lang=en.
[12] United Nations (2024). Invisible Women, Invisible Problems. [online] United Nations. Available at: https://www.un.org/en/observances/widows-day.
[13] Kahindo Kavene, M.D. (2023). The Church at the Service of the Poor, Victims of Wars in Africa. Lumen Vitae, [online] LXXVIII(1), pp.87–96. Available at: https://shs.cairn.info/journal-lumen-vitae-2023-1-page-87?lang=en.
[14] Mubalama, P. (2023). Congolese Widows Stripped of Inheritance. [online] Institute for Peace and War Reporting. Available at: https://iwpr.net/global-voices/congolese-widows-stripped-inheritance.
[15] Long, N. (2013). DRC Widows Carry Heavy Burdens. [online] Voice of America. Available at: https://www.voanews.com/a/drc_widows_carry_heavy_burdens/1634163.html.